Groupon non è sempre una sola: mesi fa ho comprato un paio
di auricolari veho isolanti e antigroviglio. Vabbè, l’antigroviglio è
palesemente una cazzata, ma isolanti lo sono davvero. Ed è questo ciò che
conta. Sono in un bar italiano nel centro di Cambridge. Entro, lei mi dice
“hello” ma dai lineamenti e dal sorriso a 32 denti capisco che è italiana.
“Ciao!” rispondo con un sorriso a 32 denti anch’io. Ci brillavano gli occhi, lo
so. Ci lamentiamo sempre dell’Italia e degli italiani; diciamo sempre “eh,
classica merda italiana”. No no, ragazzi. Niente è come lei. Il calore della
gente, i sorrisi degli sconosciuti, i poco raffinati complimenti dei muratori
avvinghiati alla loro birra da 0,66 cl, il cibo, il clima. Dio Santo, il clima.
Agogno i 20 gradi come poche altre cose. Come i ruccoli di nonna, forse.
Devo dire che non è freddo come ci si potrebbe
aspettare. In questo bar italiano nel
centro di Cambridge ci saranno almeno 25 gradi. E per questo devo ringraziare
Zachary. No, non è una nuova marca di condizionatori, è un ragazzo poco più
grande di me, 27 anni, e una voce che sembra abbia iniziato il suo rodaggio nei
magnifici anni 70. Avete presente quando mandate giù un sorso di cioccolata
calda in una fredda serata d’inverno avvolti nella vostra coperta sul divano di
casa? Ecco, la sua voce dà la stessa sensazione di tepore. Senti quel calore
andare giù per l’esofago e propagarsi per tutto il corpo. Fa caldo ora. Credo
che legherò i capelli. Nelle mie veho isolanti risuona The Rip Tide: Zachary e
i Beirut sono riusciti a creare un
capolavoro musicale in un periodo in cui l’invasione della musica spazzatura ha
seminato terrore quasi quanto quello che ha spinto un illuminato gruppo di
argentini al suicidio di massa pre-fine del mondo.
9 tracce, poche parole e musica calda. Si distinguono un
ukulele, una tromba, un tamburello, una chitarra e una voce che è come un
quartetto d’archi nella basilica di san Pietro. Provo a chiudere gli occhi.
Parte Santa Fe: ecco, mi vedo in macchina, posto accanto al guidatore, piedi
sul cruscotto e mani che tengono il tempo battendo sulle ginocchia abbronzate
dal caldo sole di luglio. Sono le 17 e noi stiamo tornando a casa dopo una
giornata al mare. Finestrini spalancati, capelli scompigliati e guance
arrossate e pelle salata. Zachary lasciami qui. Su questa strada, che
necessiterebbe di una colata di cemento ma che il sole caldo delle 17 e il
profilo sinuoso degli alberi fanno
sembrare come la route 15 Los Angeles - Las Vegas, mi sento libera,
spensierata, felice.
Parte The Rip Tide che dà il nome all’album. Note a tratti
languide. I tasti di un pianoforte pigiati con decisione e delicatezza
accompagnano questo pezzo coinvolgente che porta con sé la dolcezza indie delle
voci gridate in bicchieri di vetro e quella musica che sa di terra. Quella
terra umida che ti resta nelle unghie e che dà refrigerio ai piedi scalzi che
ballano sotto il tuo vestito bianco di lino. Ora sei un po’ gitana. La tua
gonna crea dei cerchi dai bordi imprecisi.
“Could you
take me another large espresso, please?” Dannazione sono ancora qui. In
un bar italiano nel centro di Cambridge con i miei auricolari veho isolanti, in
un grigio giorno di marzo che niente ha di primavera. Piove. I pneumatici delle auto inglesi schizzano l’acqua delle pozzanghere sul lato sbagliato della strada. Non m’importa. Zach e il mio caffè bollente mi portano lontano, dove c'è sempre caldo, sotto i 25 gradi dei tramonti estivi.
Ste
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